AUDIZIONE CONFAPI su Progetto di legge per la semplificazione fiscale alla Camera dei Deputati

Roma, 29 ottobre 2018

Osservazioni Confapi sul Progetto di legge A.C. 1074 “Disposizioni per la semplificazione fiscale, il sostegno delle attività economiche e delle famiglie e il contrasto dell’evasione fiscale”

Confapi ringrazia l’Onorevole Carla Ruocco, Presidente della VI Commissione Finanze della Camera dei Deputati, per l’invito a partecipare all’odierna audizione in cui la Confederazione può esprimere le proprie valutazioni sul progetto di legge A.C. 1074 contenente disposizioni per la semplificazione fiscale, il sostegno delle attività economiche e delle famiglie e il contrasto dell’evasione fiscale.
Dato il ruolo e la natura della Confederazione ci soffermeremo ad analizzare gli articoli che riguardano direttamente il mondo dell’industria e dell’impresa.
Come sapete le idee imprenditoriali, anche le più brillanti, non possono risultare vincenti se non trovano un humus favorevole, un habitat che ne favorisca lo sviluppo. Purtroppo, malgrado la bontà delle singole misure e provvedimenti passati e presenti, non possiamo dire che il nostro sia un Paese per l’impresa.
Basti pensare ai fardelli che tutt’ora gravano sulle nostre imprese e ne frenano la competitività.
Da troppo tempo il total tax burden –il carico fiscale complessivo sui profitti d’impresa – supera la quota immorale del 65%. Un paese che fa pagare a chi lavora 70 su 100 si commenta da solo. Continuiamo a dire che la vera ricetta è molto semplice: la crescita la crea il lavoro, il lavoro lo crea
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l’industria, sempre che questa sia liberata dalla burocrazia e dagli altri fardelli.
Anche se questa non è la sede, ribadiamo ancora una volta che non è più rinviabile una riduzione del cuneo fiscale. Occorre infatti abbassare la tassazione su quei fattori che incidono sulla produzione industriale. Ci riferiamo al costo del lavoro e alle tasse patrimoniali che gravano sulle imprese, come Imu e Tasi.
Per non parlare del costo della burocrazia che pesa sulle casse delle Pmi circa 30 miliardi di euro ogni anno. Solo la tenuta dei libri paga; le comunicazioni legate alle assunzioni o alle cessazioni di lavoro; le denunce mensili dei dati retributivi e contributivi; l’ammontare delle retribuzioni e delle autoliquidazioni costano al sistema delle Pmi quasi 10 miliardi l’anno. Poi ci sono le dichiarazioni dei sostituti di imposta, le comunicazioni periodiche ed annuali Iva che costano complessivamente 2,8 miliardi di euro. Per non parlare del tempo e delle ore di lavoro perse.
Quindi, non solo nel nostro Paese paghiamo tante imposte, ma è pure complicato farlo. Nel rapporto internazionale che misura la “facilità” del sistema fiscale, l’Italia si classifica ultima in Europa e 141ª nel mondo. Da noi, un imprenditore
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medio effettua in un anno 15 versamenti al fisco, 6 in più di un suo collega tedesco, 7 in più di un inglese, di uno spagnolo o di un francese e 9 in più di uno svedese. Impieghiamo in media 238 ore annue per pagare le imposte, il 46% in più della media Ocse. Costi, tempo e risorse sottratte all’attività d’impresa.
Anche il Codice degli appalti, che nasceva sull’indicazione europea di allargare i grandi appalti alle Pmi, si è rivelato un “pantano” che ha bloccato anche gli investimenti già decisi e mortificato le aziende del settore.
Riteniamo quindi condivisibile in linea di principio qualsiasi forma di semplificazione in grado di ridurre gli oneri a carico delle imprese.
Per avere però una effettiva semplificazione non basta eliminare degli adempimenti che comunque comportano il trasferimento del flusso dei dati ad un altro di stessa entità. La semplificazione si ottiene attraverso una revisione profonda e razionale dell’intero sistema fiscale.
Ad esempio, visto che la base imponibile Irap è quasi uguale a quella Ires, una semplificazione potrebbe essere l’eliminazione della dichiarazione Irap e degli adempimenti
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connessi, trasformandola in una percentuale aggiuntiva dell’Ires.
Entrando nel “cuore” del provvedimento in esame, vi sono misure che sicuramente in prospettiva saranno in grado di determinare un alleggerimento degli oneri a carico delle imprese ma che, per ora, risultano slegate da un quadro di razionalizzazione complessiva dell’intero sistema.
Condividiamo l’abrogazione dell’obbligo delle comunicazioni dei dati delle liquidazioni periodiche Iva (articolo 1) a decorrere dal 1° gennaio 2019, rilevando questo un atto dovuto stante la contestuale entrata in vigore del regime della fatturazione elettronica tra privati.
Parimenti condivisibile è l’intervento che razionalizza, a decorrere dal periodo d’imposta in corso, l’adempimento comunicativo dell’invio trimestrale dei dati delle fatture emesse e ricevute unificandolo in un’unica data fissata al 28 febbraio 2019.
A tale riguardo, evidenziamo però che si semplifica di fatto un adempimento già abrogato dalla Finanziaria 2018.
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Un tema invece, che a nostro avviso merita attenzione, è la revisione della disciplina delle comunicazioni delle fatture estere. Visto che si tratta di adempimenti, oggi mensili, che non rientrano nell’obbligo della fatturazione elettronica, sarebbe opportuno che diventassero annuali.
Per quanto riguarda la fatturazione elettronica, vi segnaliamo che il necessario adeguamento tecnologico comporterà notevoli costi alle Pmi. Da un primo riscontro, tali costi oscilleranno da un minimo di 1.500 euro per arrivare anche a 6.000/7.000 euro all’anno per le imprese di media dimensione. La nostra proposta è di concedere un credito d’imposta su tale onere, come è già avvenuto in altre circostanze e come è stato previsto nel decreto collegato alla manovra 2019 per l’adeguamento all’obbligo di invio di corrispettivi telematici.
Inoltre, esentare i minimi – che dall’anno prossimo avranno una soglia di ricavi sino a 65mila euro – dall’obbligo di fatturazione elettronica, vuol dire vanificare parte del vantaggio (ipotetico) per le imprese derivante dai risparmi amministrativi nella gestione del ciclo passivo. Tali fatture infatti dovranno essere ancora gestite in maniera cartacea e inserite a mano.
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Infine, ci si chiede se sia opportuno continuare ad applicare regimi di contrasto alle frodi Iva come lo split payment e il reverse charge. In tal senso si riscontra che il regime incentrato sulla gestione di un plafond, di cui all’articolo 17 del provvedimento, ancorché ritenuto utile, dovrebbe essere superato dall’abrogazione di tali regimi.
Per quanto riguarda l’eliminazione del modello 770 per i dati ridondanti (articolo 6, comma 3, lett. b), peraltro già presenti nelle Comunicazioni Uniche inviate a febbraio, risulta complicato e costoso prevedere il pagamento delle ritenute per il tramite di F24 per codice fiscale percipiente. Ciò determinerà una moltiplicazione degli stessi F24 e un conseguente aumento dei costi amministrativi, tenendo conto delle rigidità ad oggi presenti nel nostro sistema fiscale in tema di pagamento delle imposte.
Si pensi al caso in cui siano presenti compensazioni per le quali è d’obbligo l’intervento di un intermediario. A questo punto, una semplificazione efficace potrebbe consistere nella possibilità di integrare direttamente le Comunicazioni Uniche con i dati di versamento.
In merito alla semplificazione in materia di dichiarazioni d’intento (articolo 8), che salutiamo con favore, riteniamo
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opportuno che venga eliminato il riepilogo delle stesse in fase di dichiarazione Iva. L’agenzia delle Entrate rilascia il protocollo ed il contribuente deve riepilogare nelle dichiarazioni Iva un protocollo già a disposizione dell’Agenzia delle Entrate. È questa una evidente duplicazione che va conseguentemente emendata.
In riferimento all’obbligo di invito al contraddittorio endoprocedimentale (articolo 11), anche per questa norma, da valutarsi in via generale favorevolmente, occorrerebbe una migliore formulazione. Da una lettura ictu oculi della stessa, infatti, il diritto al contraddittorio sembrerebbe trasformarsi in un dovere di contraddittorio del contribuente.
Da una parte, nell’articolo 11 comma 3, viene previsto che il contribuente possa partecipare al procedimento instaurato. Ma successivamente viene introdotto un regime di fatto sanzionatorio nel caso in cui il contribuente non vi partecipi.
Basti pensare che non potranno essere presi in considerazione notizie e dati non trasmessi e nel procedimento di primo grado si dovrà dimostrare di non aver potuto adempiere all’obbligo.
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In più, si prevede che, decorsi 60 giorni dalla data di notifica dell’invito, esso produca gli effetti propri dell’avviso di accertamento, salvo prevedere poi la possibilità di effettuare un ravvedimento operoso entro la data di emissione dell’avviso di accertamento.
Ci si chiede poi, a livello sistemico, come sia possibile ravvedersi visto che viene previsto che l’invito al contraddittorio produca gli effetti di un avviso di accertamento che, in condizioni normali, inibisce la possibilità di ravvedimento.
Il diritto al contraddittorio in questo modo risulta essere semplicemente un ampliamento o, per meglio dire, si traduce in un’ulteriore fase di esercizio dei poteri istruttori della Pubblica Amministrazione e non in un diritto del contribuente che per definizione è esercitabile facoltativamente.
L’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea -anche se riferita alle materie armonizzate- recita al comma 2 lett. a): “il diritto di ogni persona di essere ascoltato prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio”. Così anche la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE. È evidente che lo spirito dell’articolo 11 sembra collidere con tali principi.
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Si segnala inoltre che l’articolo 15, comma 1 del provvedimento in esame in tema di sanzioni connesse alla fatturazione elettronica, mal si coordina con l’articolo 10 del DL 119/2018 (decreto collegato alla manovra finanziaria 2019) il quale prevede un regime sanzionatorio di favore per i primi 6 mesi dell’esercizio 2019. Regime quest’ultimo preferibile rispetto a quello ipotizzato dall’articolo 15 in commento.
In conclusione, volendo essere propositivi, suggeriamo una serie di interventi necessari per portare avanti il processo di semplificazione e snellimento burocratico indispensabile per riattivare la crescita economica recuperando il gap concorrenziale che ci distanzia dagli altri paesi industrializzati.
Una priorità nella gestione della cosa pubblica deve diventare la semplificazione della legislazione e dei provvedimenti normativi e fiscali.
Occorre procedere alla redazione di “Testi Unici” in grado di riassumere le diverse disposizioni coerenti per argomento, abrogando le parti obsolete, evitando duplicazioni e fugando ogni dubbio interpretativo anche sulla scorta della prassi e della giurisprudenza.
Occorre rendere obbligatoria una “analisi di impatto” della normativa sulla vita delle aziende, prevedendo una scalabilità
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degli adempimenti in funzione della dimensione e della complessità aziendale.
È necessario inoltre che venga attuata periodicamente una verifica successiva della validità delle misure varate nel campo delle politiche fiscali attraverso un confronto programmato e costante della loro efficacia pratica tra gli addetti ai lavori e i destinatari di tali provvedimenti.
Nonostante alcuni interventi di razionalizzazione e snellimento che si sono realizzati negli ultimi anni, il numero dei tributi è tutt’ora troppo elevato e determina un aggravio di costi sia per le imprese che rappresentiamo sia per la stessa pubblica amministrazione che deve gestirli.
Per cui occorre realizzare, innanzitutto, una riduzione quantitativa degli stessi individuando due soli enti impositori – uno a livello nazionale e uno a livello regionale –razionalizzando anche il calendario per il pagamento dei vari tributi con una o al massimo due date annue.
Ci rendiamo comunque conto che le tematiche affrontate sono particolarmente complesse e che è gravoso il compito del legislatore di riformare un sistema che da anni è ormai “ingessato”.
Una delle sfide più urgenti del nostro Paese è quella di attuare, sul piano fiscale, un cambio radicale di rotta,
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un’inversione di marcia che determini un nuovo rapporto tra fisco e contribuente. Si deve capovolgere il paradigma tutto italiano per il quale i contribuenti – a differenza degli altri paesi che li trattano e li considerano clienti – sono, invece, a prescindere da perseguire.
Confapi confida che le proposte formulate possano essere di utile spunto nell’iter parlamentare e possano contribuire ad una discussione che tenga conto delle peculiarità delle piccole e medie industrie che sono ancora oggi l’asse portante dell’economia e del sistema produttivo – industriale di questo Paese.

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